Alla base di ogni cioccolato ci sono tre materie prime: cacao secco, burro di cacao e zucchero. Dalla mescolanza di questi elementi nasce una complessità che anima le passioni dei golosi. Il “codex standard” sul cioccolato indica che affinché si possa fregiare del nome, il cioccolato deve contenere almeno il 35% di cacao. Il resto è zucchero. Tale percentuale si calcola come massa secca totale. Comprende perciò il burro di cacao che deve prevalere con un minimo del 18% e la polvere di cacao sgrassata. Oltre ai tre componenti che vengono mescolati in varie percentuali, si possono aggiungere alla massa di cacao anche altre materie prime, come il latte, la vaniglia o le nocciole. Le proporzioni di ogni ingrediente sono variabili e dipendono dal tipo di prodotto che si vuole ottenere.
Una direttiva dell’UE in vigore dal 3 agosto 2003 obbliga i produttori di cioccolato a specificare sull’etichetta la composizione del cioccolato, in modo che si distinguano i tipi di cioccolato puro da quello non puro e dai surrogati. Viene definito cioccolato puro soltanto quello prodotto con burro di cacao e senza grassi vegetali aggiunti; è definito semplicemente cioccolato, invece, quello prodotto con l’aggiunta di grassi vegetali in quantità non superiore al 5%. Vengono infine definiti surrogati o prodotti a base di cacao quelli contenenti più del 5% di grassi vegetali.
Il cioccolato fondente o nero è quello ritenuto più pregiato ed è anche il meno calorico e il più povero di sodio: 100 gr. di cioccolato fondente contengono 515-542 cal. Questo tipo di cioccolato viene prodotto con almeno il 30% di cacao per quello comune, con il 43% per quello superiore o finissimo e con il 45% fino al 99%, per quello extra. Deve avere un aspetto lucido e un profumo intenso di cacao. Si deve sciogliere subito e avere una consistenza appena sabbiosa, lasciando una nota persistente e qualche venatura amara e acida.
Il cioccolato al latte è il più ricco di calcio e 100 gr. contengono 545-565 cal. Il cioccolato al latte viene prodotto con almeno il 25% di cacao ed il 14% di latte; inoltre contiene anche il 25% di grassi (tra grassi del latte e burro di cacao) e il saccarosio aggiunto non deve superare il 55%.Il naso percepisce subito un odore vanigliato che si accompagna spesso al caramello e al miele. In bocca, la fusione svela l’armonia del latte con il cacao.
Infine il cioccolato bianco un po’ mentitore perché tecnicamente non contiene cacao nella forma secca e offre in 100 gr. 537 cal. Esso viene prodotto con burro di cacao almeno al 20% ed almeno il 14% di latte o derivati. Il saccarosio aggiunto non deve superare il 55%. Ha un punto di fusione più basso rispetto agli tipi di cioccolato e fornisce un intenso profumo di vaniglia.
Il cioccolato gianduia nasce dal matrimonio tra le nocciole, il cacao e lo zucchero, con o senza l’aggiunta di latte in polvere. Il gianduia fornisce circa 543 cal per 100 gr e deve avere almeno il 32% di cacao totale. L’aggiunta di mandorle, nocciole e noci non deve eccedere il 60% del peso totale.
Il mercato del cacao rappresenta un volume di 2,4 milioni di tonnellate di fave, cioè un valore medio di circa 2,5 miliardi di €uro. Theobroma cacao è al terzo posto negli scambi mondiali, dopo il mercato del caffé che muove 5,5 milioni di tonnellate e lo zucchero che ne muove 105 milioni.
Nel mondo, gli svizzeri sono i maggiori consumatori con 11,6 kg/anno pro capite. L’Italia, anche per ragioni essenzialmente climatiche ne consuma 3,9 kg/anno/pro capite, con picchi consumo in occasione del Natale e della Pasqua.
La democratizzazione del cioccolato avviata con la nascita della barretta racconta che l’avventura del cioccolato inizia in America quando i Maya iniziarono la coltivazione della pianta del cacao, circa duemila anni prima della scoperta dell’America, ma furono gli Atzechi a cominciare la sua lunga e dolcissima storia, infatti il nome deriva dall’azteco cacahult.
Le terre che si estendono fra la penisola dello Yucatàn, il Chiapas e la costa pacifica del Guatemala furono quindi le prime ad essere teatro della storia. Il frutto di tale pianta era considerato talmente prezioso che era utilizzato anche come moneta presso la popolazione Maya e secoli più tardi, nel 1519, un conquistatore spagnolo: Hernàn Cortès riceveva in dono cesti di giunco pieni di semi di cacao che gli indiani erano soliti offrire ai conquistadores.
I primi spagnoli, che sbarcarono nelle foreste vergini del Sudamerica, spinti dalla sete dell’oro e di altri minerali preziosi, scoprirono coltivazioni altrettanto preziose come lo zucchero, il caffè, la patata e appunto il cacao. Le date fondamentali nella vita di questo alimento dal fascino irresistibile sono:
1502 – Cristoforo Colombo assaggia, per primo, il cacao.
1527 – Cortez torna in Spagna con i preziosi semi.
1737 – il botanico Linneo classifica l’albero del cacao sotto il genere Theobroma ovvero “cibo divino”.
Importato in Europa nel 1600 il cacao, sposato con lo zucchero ed altre sostanze, come la vaniglia o la cannella, divenne “la cioccolata”, una bevanda molto diffusa dapprima in Spagna poi in Francia con Anna d’Austria, figlia di Filippo II e moglie di Luigi XIII. Il naturalista svedese Carl von Linné, italianizzato in Carlo Linneo (1707-78), che si dedicò a classificare gli esseri viventi con la denominazione latina, chiamò il cacao theobroma, cioè “alimento degli dei”: “gli uni attribuirono questa enfasi al fatto che allo scienziato la cioccolata piaceva moltissimo; altri al desiderio che egli aveva di far piacere al suo confessore; altri infine alla sua galanteria, poiché la prima a introdurre la cioccolata era stata una regina”.
Il cioccolato sin dai primordi è stato sempre considerato un prodotto delle classi ricche che ne facevano talora largo uso come nel caso di Montezuma, imperatore e sommo sacerdote degli Atzechi, che, a detta dei cronisti spagnoli, riusciva ad ingollare circa 40 tazze di cioccolato al giorno. Lo stesso dicasi di Napoleone che ne faceva largo uso per ritemprarsi e di Voltaire che arrivava ad assumerne fino a 12 tazze al giorno. Furono le corti europee a lanciare la moda del cioccolato, il cui consumo si propagò in seguito in tutti gli strati della popolazione.
Dalle corti del continente, il cioccolato si diffuse anche in Inghilterra, grazie alla comparsa delle “chocolate houses”, dei veri e propri negozi con annesso opificio. “1697 – White’s in St. James Street”.
Da bevanda liquida il cioccolato è divenuto solido ed addentabile, moderno e conservabile, popolare e industriale soltanto a partire dalla scoperta di un signore inglese, Joseph Fry, che nel 1847 inventò la prima tavoletta della storia.
L’alto costo del cacao limitò il suo uso sino alla fine dell’800 quando, gli olandesi trovarono il modo di produrre il cacao in polvere. Nel corso del ‘900 l’uso della cioccolata si è esteso a tutte le classi sociali del mondo occidentale ma è rimasto pressoché assente nei paesi produttori, quasi tutti poveri e sottosviluppati.
L’albero del cacao, coltivato oggi in molte regioni (Sudamerica, Africa, Asia del sud-est, Nuova Guinea, Ceylon), raggiunge un’altezza da quattro a otto metri, porta fiori tutto l’anno situati curiosamente proprio sul tronco ed ha un’età produttiva di 25 30 anni.
Sensibile agli sbalzi di temperatura e di umidità, infatti non sopporta temperature più rigide di 16 ˚C e vuole un’umidità sempre altissima (circa 80%), l’albero di cacao spesso protetto da alberi dalla grande chioma, come il banano, cresce nella zona tropicale umida fra i 10° di latitudine nord e 10° sud ad un’altitudine di 400-600 m s.l.m.
Il frutto ha la forma di un cetriolo chiamato in gergo, cabosse lunga da 15 a 20 cm, contiene circa 40 semi e pesa fra 300 e 600 g. Un albero può produrne fino a 150 all’anno e contiene i semi che vengono fermentati, essiccati, torrefatti e macinati per ottenere la polvere di cacao, il burro di cacao, la cioccolata intesa come bevanda e ora, grazie ai procedimenti industriali, il cioccolato spalmabile o in tavoletta, nelle sue infinite varianti (fondente, al latte, alle mandorle …) fino agli irresistibili biscotti al cioccolato. Le varietà principali di alberi di cacao sono:
Il forastero, è la pianta più coltivata al mondo, rappresentano più del 80% della coltivazione mondiale, soprattutto in Africa. Il cacao Forassero è poco aromatico, forte e con un sapore marcato e astringente anche se si possono avere dei risultati soddisfacenti in termini di gusto e d’aroma a seconda dei metodi e trattamenti dopo-raccolto impiegati.
Il criollo il cui nome deriva dalla parola “creolo” che significa “indigeno locale” rappresenta non più del 3% della produzione mondiale. E’ il cacao più pregiato e raro dai cui semi bianchi profumati deriva un cacao fine, aromatico, dolce e meno ricco grasso . Tale famiglia di Teobroma è presente fondamentalmente nella parte settentrionale del Sudamerica ed in America centrale e viene impiegata in miscele per la produzione di pasta di cacao per cioccolato di lusso.
Il trinitario ha origine dall’ibridazione tra le piante Criollo e Forastero dopo una catastrofica decimazione nel 1727 nelle isole caraibiche Trinidad eTobago. La produzione pesa per il 19% circa del volume mondiale e fornisce un cacao resistente alle infestazioni, semi-fino, dall’alto tenore in grassi pregiati.
Unico tra gli alimenti che si fonde esattamente alla temperatura corporea, il cioccolato deve la sua bontà, oltre che dalla proporzione degli ingredienti, anche dall’accuratezza del ciclo di estrazione del cacao dai semi della pianta, dal ciclo di lavorazione del cioccolato e dalla bontà dei grassi utilizzati.
La raccolta dei frutti è delicata e richiede un ampio uso di manodopera, non è meccanizzabile e la pianta comincia a produrre soltanto dal quinto anno. Analogamente al mondo del vino un buon cioccolato ha origine da coltivazioni di cacao non intensive.
In quasi tutti i paesi le cabosse o cabosside si raccolgono due volte l’anno: il raccolto principale, che rappresenta circa 80% della produzione, avviene in corrispondenza del nostro inverno, da ottobre ad aprile, e quello intermedio da maggio a settembre.
La fermentazione è l’operazione che determina il gusto, l’aroma, il colore e la successiva buona conservazione del cacao, deve seguire alla raccolta di non più di 24 ore. Può durare da 1 a 3 giorni per il Criollo e da 5 a 7 giorni per il Forastero.
Il procedimento vede le fave disposte in casse di legno o cemento con un fondo a griglia, che permettono l’evacuazione degli acidi della fermentazione. I semi di cacao vengono mescolati frequentemente per avere un’aerazione ed una fermentazione omogenea. Durante questa fase si sviluppano alcune trasformazioni chimiche e fisiche fondamentali:
- inattivazione del seme che smette di germogliare
- liberazione dei semi dalla polpa zuccherina, che tendono ad ingrossare e a diventare di colore bruno.
- formazione all’interno dei semi dei precursori d’aroma.
Segue l’essiccazione al sole o in forni ad aria calda nei periodi piovosi che può durare da 7 a 15 giorni. A questo stadio le fave di cacao hanno un contenuto di buccia del 14-18%, un contenuto di acqua del 7-8% e un tenore di grasso nel cotiledone (seme senza buccia) del 50-55%.
Le fave, precedentemente essicate e sgusciate, vengono sottoposte a una temperatura tra i 120° e i 140° C. La torrefazione permette di sviluppare gli aromi caratteristici e di eliminare l’umidità residua. E’ una tappa delicata: la temperatura ed il tenore di umidità vanno commisurati alle caratteristiche del cacao d’origine e alle caratteristiche del prodotto che si vogliono ottenere. In particolare, i cacao fini e semi-fini vengono torrefatti a temperature più basse e gradatamente allo scopo di esaltarne quanto più possibile l’aroma caratteristico. La macinatura di finezza micrometrica trasforma la granella in massa liquida di cacao, detta, liquore di cacao (massa liquida calda) o massa di cacao (massa fredda e solida). Filtrando la massa di cacao in pressione attraverso setacci con trama molto fitta si separa una sostanza grassa dal colore bianco giallastro, il burro di cacao e il pannello o cake, che viene polverizzato per ottenere cacao in polvere.
Rudolph Lindt scopre e perfeziona il “concaggio” nel 1879. Tale operazioneche dura fino a 72 ore, consiste in una lunga omogeneizzazione in speciali “conche” a temperatura controllata, dotate di bracci oscillanti di rimescolamento che amalgamano alla perfezione gli ingredienti, ne eliminano le ultime tracce di acidità e di umidità, esaltandone gli aromi. Si tratta di un procedimento importante, dal quale dipendono la pastosità, la rotondità ed il gusto vellutato, ma anche la durezza e la brillantezza esterna del cioccolato. Si compie alla temperatura di 80° C, in modo da espellere le acidità tanniche.
Con il temperaggio si vuole ottenere una microcristalizzazione di tutti i componenti del cioccolato, che è una sorta di dispersione di cristalli di cacao e zucchero dentro un grasso, il burro di cacao. Poiché lo zucchero assorbe l’acqua e invece il burro la respinge, bisogna evitare che vi siano residui di umidità all’interno. Ecco perché il cioccolato al latte si può realizzare soltanto con il latte in polvere. Questa operazione influisce sulla sua duttilità, la sua brillantezza e le sua consistenza.
Lungo tutte le operazioni precedentemente descritte, il cioccolato è stato mantenuto ad una temperatura superiore al punto di fusione del burro di cacao. Ora lo si deve ricondurre ad una temperatura tale da cristallizzare il burro e formare una massa solida fine ed omogenea. Tale solidificazione o cristallizzazione viene ottenuta per raffreddamento forzato e successivo riscaldamento.
Il cioccolato, stoccato in serbatoi a 40° C, viene fatto passare in un cilindro che lo raffredda rapidamente per poi riportarlo intorno ai 29 – 30° C per il cioccolato al latte o 31 – 32° C per il fondente. Questo differenziale termico ed i mutamenti che ne conseguono prende il nome di curva di cristallizzazione: un fattore essenziale nella fabbricazione di un grande cioccolato.
L’ultima fase di lavorazione è il modellaggio o dal francese moulage. Dopo l’immissione negli stampi, il cioccolato temperato viene fatto raffreddare e solidificare nella forma voluta.
Il ciclo può dirsi compiuto solo quando il cioccolato viene incartato e ben confezionato, pronto per il consumo o la conservazione, al buio, senza sbalzi di temperatura, tra i 15 e 18°,con un’umidità non superiore al 50%.
Per degustare una tavoletta di cioccolato basta scartarla, romperne un pezzo e mangiarlo. Semmai il problema è quello di non arrivare troppo in fretta alla fine. Ma in realtà un Signor Cioccolato può parlare come un grande bicchiere di rosso d’annata e merita perciò pazienza. E’ un fast food per chi ha bisogno di energia, diventa slow food da meditazione quando lo si degusta con la dovuta attenzione. I sensi coinvolti nell’analisi di un alimento sono principalmente il gusto, l’olfatto e la vista, ma anche tatto e udito hanno ruolo importante.
A vista deve essere lucido, senza macchie, perché questo indica un buon temperaggio. Il fondente deve essere di color mogano (e non nero) a volte con riflessi rossastri. La specialità al latte deve essere ocra chiara e quello bianco deve avere una superficie liscia, di colore bianco brillante tendente al giallino.
Con l’analisi olfattiva si percepisce: l’intensità, la persistenza, la ricchezza dei profumi, gli aromi primari, ossia quelli propri del cacao, e gli aromi secondari, quelli tipici dei cacao aromatici, degli ingredienti aggiunti ( es. frutta candita, pistacchi, nocciole ecc.) e quelli dovuti alla lavorazione. Molto importante è la valutazione complessiva dell’equilibrio di tutti gli aspetti aromatici. Il cioccolato fondente deve avere, innanzitutto, un profumo gradevole, vagamente vanigliato ed intensamente “cacao”.
Il profumo del cioccolato al latte deve essere prima di tutto vanigliato e gradualmente deve predominare il profumo del latte e terminare con un profumo di cacao. Il cioccolato bianco deve avere un profumo “delicatamente dolce” di vaniglia e di latte.
L’analisi del gusto è la parte migliore, che risulta completa se prima saranno coinvolti gli altri sensi. Il cioccolato non va mai masticato, deve sciogliersi in bocca, al centro della lingua, contro il palato. Il fumo condiziona le papille gustative, così come invadono i cosmetici particolarmente persistenti. Tra lingua e palato, il cioccolato sprigiona appieno i suoi sapori e le sue caratteristiche principali: dolcezza, acidità, amarezza, intensità, astringenza, rotondità, ricchezza. Queste impressioni dovranno svilupparsi al gusto con armonia ed uniformità per determinare la buona qualità del prodotto.
Un buon cioccolato fondente deve spaccarsi nettamente quando si mette in bocca e deve sciogliersi rapidamente, liberando una sabbiosità quasi impercettibile. Una volta sciolto dovrà lasciare una sensazione di dolcezza che sarà di veloce passaggio per lasciar spazio all’acidità del cacao (prova di bassa potassatura) ad all’amaro (segno positivo di bassa percentuale di zucchero). Tutte queste sensazioni verranno accompagnate da un gradevole profumo di vaniglia.
Un buon cioccolato al latte deve essere meno croccante del fondente e deve sciogliersi rapidamente ed essere leggermente pastoso. Deve sviluppare, gradualmente, questi sapori: dolce, acido, amaro e con un intenso gusto di latte. La degustazione verrà accompagnata da un gradevole profumo di vaniglia e da un “vago” gusto di lecitina.
Un buon cioccolato bianco deve essere croccante al pari di un cioccolato al latte deve sciogliersi rapidamente. Deve sviluppare, gradualmente, questi sapori: un gusto di burro di cacao (non troppo violento), un vago accenno di acidità, il dolce dello zucchero ed un gradevole ed intenso gusto di latte; tutte queste sensazioni dovranno essere accompagnate da un gradevole profumo di vaniglia e da un “vago” gusto di lecitina.
L’analisi con l’udito rivela che il cioccolato, dopo la frantumazione con i denti o tra le dita deve riportare la voce della sua croccantezza e se il rito è compiuto vicino all’orecchio si ascolta il rumore che produce lo “Snap”.
Al tatto, le maggiori sensazioni manifestano la setosità che può essere sensuale e coinvolgente e il calore delle dita ne svelano la duttilità. Nove persone su dieci amano il cioccolato e il decimo mente. Perché il cosiddetto “craving”, cioè la voglia matta per questo alimento, è un fenomeno in continua espansione nei paesi occidentali tanto da raggiungere un consumo pro capite di circa 7 Kg all’anno? Insomma perché la cioccolata piace tanto? La prima motivazione psicologica all’acquisto e al consumo del cioccolato è l’associazione di quest’ultimo con una situazione di festa, di incontro, di ricorrenza, quindi di tipo familiare/emozionale. Il cioccolato evoca momenti celebrativi e quindi ha di per sé già una valenza positiva perché assume una significanza ludica.
Ma quello che stupisce maggiormente del consumo di cioccolato è l’intensità delle passioni evocate. E’ qualcosa di più del semplice piacere della gola : il cioccolato attrae perché ricco di significati simbolici.
La cioccolata è infatti la conciliazione di molti opposti : è sia solido che liquido, chiaro e scuro , dolce e amaro , è certamente bisessuato tant’è vero che si dice “cioccolata” quando ci si riferisce a una bevanda calda, “cioccolato” parlando della tavoletta nettamente più fredda e dura. Trecento sostanze chimiche che stuzzicano il palato, oltre quattrocento componenti aromatiche che stimolano il naso, sono queste le caratteristiche che insieme creano la particolarissima complessità di gusto che è alla base del potere di questo piacere terreno al quale nessuno si sottrae.
Gli effetti “benefici”, risiederebbero nelle quantità di cacao, il cioccolato fondente infatti contiene dei quantitativi più elevati rispetto al cioccolato al latte. Il cacao ha una percentuale di antiossidanti molto elevata che assunti in piccole quantità aiutano a mantenere in buona salute le arterie con un effetto benefico sulle loro pareti interne.
Il cioccolato contiene i flavonoidi, un gruppo chimico che si trova in molti cibi vegetali e piante commestibili, come il vino rosso, il tè, le cipolle e il prezzemolo, e che hanno di recente suscitato grande attenzione per la loro benefica influenza sulla salute cardiovascolare, migliorando il flusso del sangue e riducendo la pressione sanguigna perché difendono contro le molecole cosiddette radicali liberi. L’effetto protettivo che il cioccolato esercita sul cuore è doppio di quello procurato dal vino rosso e quattro volte superiore a quello del tè verde; il cioccolato contribuisce ad abbassare il livello del colesterolo; il cioccolato contiene feniletilammina, un oppiaceo naturale che il cervello produce quando ci si innamora, e che regala sensazioni di felicità e appagamento; nel cioccolato si trovano antiossidanti che svolgono una funzione protettiva nei confronti del cancro, dell’invecchiamento, dell’Alzheimer, dell’artrite, dell’asma e dei processi infiammatori; il fenolo previene l’ossidazione dei grassi nel sangue e la costrizione delle arterie. Una quantità moderata di cioccolato fondente aiuta a limitare alcuni danni provocati dal fumo rendendo il flusso arterioso sensibilmente più scorrevole.
I tannini presenti nel cioccolato aiutano a combattere la carie perché impediscono la proliferazione batterica ed il fluoro contenuto migliora lo smalto. Il cioccolato è un toccasana anche per la mente, in quanto il fosforo combatte l’affaticamento mentale, mentre la caffeina stimola il sistema nervoso e la teobromina, un vaso dilattattore aiuta a concentrasi. L’assunzione di cioccolato poco prima di coricarsi aiuta a combattere l’insonnia poiché aumenta i tassi di serotonina che favoriscono l’assopimento.
Che la cioccolata sia un valido aiuto nei momenti di tristezza e depressione fa parte dell’esperienza comune, ma il suo valore antidepressivo ha in realtà un fondamento scientifico. Il cacao, infatti, attiva un benessere transitorio, una breve sensazione di piacere.
Mangiando cioccolato si attiva la serotonina, il cosiddetto “ormone della felicità”. Sebbene sia vero che per stare veramente bene bisognerebbe mangiarne in quantità industriali, è anche vero che un cioccolatino ogni tanto può farci sentire meglio. Riconciliamoci dunque, con il mondo attraverso un atto che non è solo consolatorio!